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RIFLESSIONE: L'amore per la povertà e la spoliazione del proprio io


Gesù inizia le Beatitudini con: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5, 3). Questo brano biblico mi ricorda subito un passo degli scritti di un carissimo santo carmelitano, San Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa, il Dottore del “tutto e di niente”, quando parla in una delle sue poesie: "Per gustare tutto, non devi voler gustare niente, per avere tutto non devi voler possedere niente, per diventare tutto, non voglio essere niente". Che sapienza tutta divina è questa che si nasconde in queste parole, parla solo di distacco, di amore per la povertà, di imitazione di Cristo nella sua umanità! Credo che Gesù abbia voluto fin dall'inizio mostrare agli uomini che i beni terreni sono sempre di gran lunga inferiori a quelli che il Padre che è nei cieli vuole darci!

          Vivere la privazione materiale non è mai stato qualcosa di comodo per nessuno, non poter avere ciò di cui pensiamo di aver bisogno in quel momento è quasi sempre un'occasione di conflitto interiore e di sofferenza. Così, ci si chiede, come è possibile che qualcuno ami la povertà? Com'è possibile rassegnarsi a non avere ciò di cui pensiamo di aver bisogno, o addirittura negarci alcune soddisfazioni, piaceri e comodità? Sembrano domande senza una possibile risposta, ed è molto probabile che se non fossimo illuminati da Dio non potremmo giungere a una conclusione positiva sulla povertà, perché ci sono così tanti che passano una vita a pensare che la felicità stia nel possedere le cose terrene, che siamo facilmente inclini a credere a questa falsa verità.

Non è un male che qualcuno cerchi di vivere bene, e raccolga buoni frutti del suo lavoro, il problema è mettere il cuore interamente nelle sue ambizioni, al punto che quella persona dimentica Dio, se stessa, la sua famiglia, ed entra in una corsa senza fine per raccogliere per sé i beni terreni che la tignola corrode, che i ladri rubano, e questo porta a una tale cecità che la sua vita si consuma nell'amarezza di un'opera che non le permette di godere di nulla di ciò che ha realizzato (cfr. Qo 5, 9-19). Come in quel passo in cui un contadino disse a sé stesso che avrebbe demolito i suoi granai e ne avrebbe costruito uno più grande, poi disse alla sua anima di riposare e divertirsi perché aveva molte cose, e infine, quella stessa notte il Signore lo chiamò stolto e dichiarò che la sua anima sarebbe stata necessaria, e per chi sarebbe andato ciò che aveva accumulato (cfr. Lc 12, 16-21)? Non capivo il motivo di questo passo, pensavo tra me e me che Dio fosse stato molto duro con quest'uomo, e mi chiedevo perché non gli avesse dato una seconda possibilità. Col tempo arrivai a capire che il pensiero dell'agricoltore era così radicato nell'avarizia, nella vanità, e che questo peccato non era poi così innocente, ma in qualche modo era idolatria, e che aveva tolto il Signore e i fratelli dal suo cuore molto tempo prima, e aveva riposto le sue speranze solo in cose vane.

Il punto che intendo sottolineare senza ulteriori indugi è che non vale la pena di attaccarsi alle cose della terra e dimenticare che c'è un Cielo da conquistare da parte nostra. E che non vale nemmeno la pena perdere la pace così facilmente a causa di cose che passano così in fretta.

In mezzo alle mie frustrazioni personali, in ambito finanziario, ho iniziato a percepire tutto questo come una grande grazia, comprendendo che è possibile essere una persona felice, senza avere tutto ciò che voglio, nel momento in cui voglio, e che la vera gioia non sta nell'avere ciò che ritengo sempre necessario o soddisfacente, ma in: "riempirmi di beni eterni", che non passano, che non sono trasferibili, che nessuno può rubare, insomma consiste nell'avere il nostro "cuore in alto" e non dimenticare mai che c'è un'eternità che ci aspetta dall'altra parte e che rende ogni sacrificio utile. Per concludere, sul pensiero di San Giovanni della Croce, quando dice: "non volere nulla e avere tutto", quando facciamo violenza per accettare le cose come sono, ciò che viene dal bene diventa un profitto prezioso, non è il conformismo passivo alle situazioni cattive che possiamo cambiare, ma la coltivazione dell' "abnegazione" ogni giorno, E per esercitarci in questa virtù ogni volta che ci troviamo di fronte alle tante situazioni che ci invitano al "distacco", si può ricavare molto bene dalla povertà di cuore già qui, la pace, per esempio, diventa uno degli effetti immediati! E tra l'altro, sono i poveri, gli eredi del Cielo, e non c'è nulla che il cuore umano possa desiderare di meglio.


Joana Karen, aspirante pfsgm

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